Luigi Cesa, scrittore originario di Arcinazzo Romano, nel libro “l’Acquedotto Consorziale del Simbrivio” riporta fedelmente gli atti e i documenti di natura amministrativa e storica delle Autorità centrali e locali senza le quali non sarebbe stato possibile realizzare l’importante opera.
Nel libro Cesa fa presente:
le maestranze che erano composte da sterratori, manovali edili, minatori, muratori e idraulici;
il trasporto dei materiali che avveniva a mezzo di muli; solo i tubi, lunghi e pesanti, venivano trasportati da coppie di buoi, pungolati dai bovari, specialmente nei punti in cui più aspro e impervio era il terreno lungo il quale si estendeva il tracciato dell’acquedotto;
le giovani e robuste donne che venivano impiegate per il trasporto dei materiali.
Fu senza dubbio un’impresa corale,- dice Cesa -, accanto agli ingegneri, ai tecnici e alle maestranze altamente professionali.
L’acquedotto terminato il 12 novembre 1932 venne poi inaugurato a Velletri, alla presenza di Mussolini.
Lo stesso acquedotto venne poi esteso negli anni 1959-67 -dice Cesa- a tutti i Comuni del Castelli Romani, ma i mezzi e le tecniche di realizzazione erano ormai più evoluti rispetto a quelli precedenti.
Per la realizzazione dell’acquedotto, portato a termine nel 1932, si consorziarono ben 22 paesi tra cui il Comune di Piglio, grazie al sindaco Francesco Spirito, repubblicano, dopo lunghe vicende politiche e burocratiche.
L’acquedotto aveva risolto il problema idrico specialmente nel periodo estivo quando le sorgenti incominciavano a scarseggiare del prezioso liquido e quando ce ne era maggiomente bisogno.
Le abitazioni dei pigliesi fino agli anni del 1950 erano prive di acqua corrente che le donne con le loro tipiche conche prendevano dalle fontane per i bisogni giornalieri.
Una domanda sorge spontanea direbbe il mitico Antonio Lubrano: “Prima della costruzione dell’Acquedotto consortile del Simbrivio la popolazione pigliese dove prendeva l’acqua?
E’ presto detto:
dalle sorgenti di san Lorenzo, di Carcassano e delle Cesi che alimentavano le artistiche fontane, i fontanili per abbeveraggio di animali da soma in quanto Piglio era un paese agricolo, la cisterna situata all’Arco del castello basso sotto il viale Umberto I. Dalla sorgente di “Romagnano” che alimenta ancora oggi il lavatoio comunale e l’acquedotto romano, ora dismesso, fino alla località Lago passando nel cimitero comunale dove ancora oggi se ne vedono le vestigia. Dalle sorgenti ancora oggi funzionanti nelle campagne di Piglio dove i Romani avevano costruito le ville:
di S. Eligio, della Fontana di Grano, della fontana dell’Abate, della fontana Acetosa, della sorgente Berlame e quella di Ponte dalle cisterne in località Civitella e di Gricciano, in località Cornacchie.
La civica amministrazione successivamente nel 1980 aveva realizzato due pozzi in località San Rocco che alimentano i serbatoi del Simbrivio e dal 2004 gestiti da ACEA Ato 2.
Ma questa è un’altra storia!!!
Giorgio Alessandro Pacetti