Il Pd chiede le dimissioni di Gianuario Aliandro dal Consiglio regionale della Basilicata.
Il Capogruppo della Lega, su indicazione del senatore leccese Roberto Marti, è succeduto cinque giorni fa a Tommaso Coviello che è passato a Fratelli d’Italia.

Lo sdegno…

I Dem hanno chiesto la testa del neo-capogruppo leghista a causa di un vecchio post in Facebook postato nel 2014. Nel post Aliandro Gianuario (detto Nario), che all’epoca non era in politica, inneggiava al Duce.
L’acredine generata dal post non si limita evidentemente al rispetto del divieto di apologia di fascismo, perché la frase incriminata recitava così: “Prima di venire in Basilicata pensaci bene… w il Duce”, ed era rivolta a Renzi.

…E la vergogna

Dal gruppo Pd della Basilicata arriva la dichiarazione intransigente: “Il neo capogruppo della Lega in Regione Basilicata, Nario Aliandro, dovrebbe seguire le orme del suo collega trentino Savoi che, a seguito delle dichiarazioni pubblicate sui social contro due colleghe donne apostrofate con volgarità e violenza, si è dimesso dal suo incarico”.

E per precisare

Il commento poi punta a precisare che le dichiarazioni “feroci” inneggiano al “peggior rigurgito fascista” e conclude spiegando che con quel post, Aliandro ha dimostrato di ignorare “ogni principio democratico” e mostrato “spregio alla Costituzione della Repubblica”.

Il Partito Democratico sottolinea come “inaccettabile un linguaggio di odio per un uomo delle istituzioni”, poiché lesivo dell’immagine delle stesse e offensivo per l’intera comunità lucana che – aggiungono – non merita mediocrità politica.

La vicenda, prescindendo dalle simpatie politiche, ci insegna che in politica tutto viene usato contro l’avversario.
Naturalmente non è condivisibile il testo del post del Capogruppo e i contenuti sono senz’altro discutibili nell’ottica del rispetto alla Costituzione.

La pagliuzza nell’occhio

Il mondo dei social, pur essendo fonte di ricchezza di informazioni è comunque inquinato dall’enfasi da tastiera. In moltissimi casi si ravvisano eccessi che nella “vita reale” sarebbero tacciati e condannati, mentre in rete “galleggiano” impuniti.

In conclusione questi errori che la foga ci fa commettere, dovrebbero essere si, redarguiti, ma poi il buonsenso dovrebbe indurci a dimenticarli. Sarebbe come chiedere conto a qualcuno, perché 6 o 7 anni fa gridò allo stadio: arbitro cornuto!
Fuori del contesto dello stadio quell’epiteto avrebbe provocato una querela, ma in quel momento era solo uno sfogo esagerato.